Ogni specie animale ha delle pulsioni, degli orientamenti, cose che, detto in breve, danno una scossa di positività, un senso di piacere e appagamento qualora siano fatte. Ogni specie ha le sue e prendono il nome di «motivazioni», esse fanno parte del patrimonio filogenetico di ogni individuo appartenente a quella o quell’altra specie animale. Per esempio: i predatori hanno quella che viene comunemente chiamata «motivazione predatoria», cioé una pulsionche che li spinge ad inseguire ciò che si muove rapidamente (perdonate la brevità della descrizione ma non intendo divagare troppo). Il punto è che un predatore quando insegue qualcosa – il semplice fatto di mettere in atto questo comportamento in sé – prova un senso di forte appagamento.

Anche gli esseri umani hanno delle pulsioni e degli orientamenti che sono possibili fonti di appagamento e soddisfazione quando assecondate, come per esempio tutte le motivazioni sociali, la motivazione alle cure parentali, la motivazione alla raccolta (essendo noi “raccoglitori” proviamo godimento nel collezionare cose che in realtà non ci servono in sé), eccetera.
Dunque, se mettiamo in atto un comportamento legato ad una delle tante motivazioni specie specifiche che è parte del nostro patrimonio filogenetico proviamo un’emozione positiva (che da un punto di vista fisiologico significa il rilascio nel sangue, per esempio, di ormoni d’appagamento, e non solo ovviamente). E pare che noi non si faccia altro che cercare di provare emozioni positive, continuamente. Ogni cosa che facciamo, o che evitiamo di fare, è strettamente legata a questa spasmodica ricerca di appagamento: cerchiamo di provare emozioni positive.

Allora, le emozioni orientano i nostri comportamenti e le nostre opinioni, che noi si sia consapevoli di ciò o meno; in pratica le emozioni sono il tema centrale.

Mi viene da chiedermi se esistano degli «universali», delle chiavi diciamo, che, a prescindere da chi si sia – dalla propria storia biografica, dal proprio carattere, dalle proprie esperienze individuali – agiscano su chiunque; se esistano cioè dei meccanismi validi un po’ per tutti, che siano in grado di suscitare emozioni positive e conseguentemente opinioni – e quindi convinzioni – ad hoc. In pratica, se conosci le chiavi che generano emozioni in una data specie, sei forse in grado di controllarla? O quantomeno di orientarla in modo significativo?

Riflettendo arrivo a pensare che esiste un ambito dello scibile umano nato espressamente intorno alle emozioni; prende vita esso stesso dalle emozioni e tende a suscitarne: l’arte. L’arte in tutte le sue infinite declinazioni: la musica, la letteratura, la poesia, la pittura, la fotografia, la scultura…
Ma poi mi guardo intorno. L’Italia è la culla dell’arte di tutto il mondo.
Se è vero quanto ho detto poc’anzi in merito alla spasmodica ricerca di emozioni positive, sull’arte che altro non è che un immenso bacino di emozioni e sull’ineluttabile realtà artistica del nostro paese, verrebbe immediatamente da pensare che qui, in Italia, tutto dovrebbe ruotare intorno all’arte.
Onestamente non mi pare che sia così, soprattutto al giorno d’oggi. E ci rifletto su un pochino.
Perché non è così? Dovrebbe essere un processo naturale l’orientamento delle persone verso le opere d’arte dato che questa altro non fa che suscitare emozioni.
Le cose si stanno complicando un tantino…

Forse, e dico forse, bisogna cominciare a pensare che sì l’uomo è alla ricerca di emozioni, ma che esistono emozioni ed emozioni. Sto cominciando a pensare ad una sorta d’educazione alle emozioni, un po’ come l’educazione al gusto: se ho mangiato tutta la vita una sola cosa, che sò, polenta e pollo, probabilmente non proverò un’emozione positiva attraverso il senso del gusto – e dell’olfatto – con qualcosa di un poco più raffinato. Se ho bevuto solo vino di pessima qualità e non ho educato il gusto e l’olfatto a cogliere le varie sfumature di un vino più pregiato e complesso non potrò godere, apprezzare, la differenza.
Non ho le strutture per farlo.
Se lo stesso vale anche per le emozioni posso pensare che vi siano emozioni più semplici e emozioni che richiedono una strutturazione più raffinata.
Non è forse più semplice emozionarsi per un goal della nazionale che per un quadro di Picasso o per una pagina di Dostoevskij?
Picasso e Dostoevskij richiedono un certo processo a priori, un percorso formativo perché possano essere emozionanti; il calcio molto meno.
Non credo però che una cosa escluda l’altra, cioé, il fatto che io esulti ad un goal della mia squadra del cuore (leggi: appagamento del bisogno di appartenenza che il vessillo della squadra di calcio soddisfa) non significa necessariamente che non  mi possa anche commuovere nell’ascoltare un grande pianista in concerto. Ed allora torno a quanto detto prima: che tutto dipenda da un carenza educativa in merito al provare appagamento attraverso stimolazioni più raffinate? In fondo anche una bella fetta di polenta sazia (e per me che sono bergamasco è anche qualcosa di buono, legato alla mia infanzia, alla mia nonna che rimesta in cucina, eccetera) a tal punto che non desidero altro?
Quindi da un lato sono «sazio»; dall’altro non sono educato: come potrò apprezzare Picasso?

[to be continue]